2017
Con l’inconfondibile “leggerezza pensosa” chi gli è propria – e che è tratto distintivo dei grandi scrittori – Antonio Ferrara ci regala una storia che è ricerca di luce e speranza.
Protagonista di questa storia è Tonino, un preadolescente cresciuto troppo in fretta in un quartiere, Scampia, dove tanti ragazzi come lui vengono inghiottiti dal buio della notte, della malavita, del malaffare. Sembrano esseri destinati alle tenebre, sottratti alla luce di un giorno che non gli è consentito di vivere. O, almeno, di vivere come dovrebbe fare un ragazzo di quell’età: infatti non vanno a scuola, vivono da adulti, sembrano incapaci di sognare, girano con una 7 e 65 semiautomatica, pieni di soldi che hanno il caro prezzo della loro libertà.
Le situazioni e i personaggi che l’autore ci racconta rispecchiano alcuni precisi clichés: il quartiere malfamato, la famiglia che non educa e non si riconosce nella legalità, l’anti-Stato che impone la sua legge, le istituzioni – e tra queste anche la scuola – apparentemente assenti e inadeguate. Tutto ciò potrebbe apparire, a un lettore frettoloso, una nota di demerito a carico dell’autore. Una sua resa totale alla rassegnazione.
Invece, questa architettura di crudi stereotipi – peraltro non troppo distanti da alcune realtà – è funzionale all’ingresso in scena per totale contrasto e contrapposizione di due personaggi “poeticamente” eroici: l’insegnante e il panettiere. Nel loro agire quotidiano, essi portano a compimento un dialogo – apparentemente impossibile e insperato – tra giorno e notte, legale e illegale, buio e luce. Un dialogo fatto di contrasti, non indolore, tra due opposti che si mescolano, si intersecano, si combattono. Ora si attraggono, ora si respingono. L’insegnante e il panettiere ci testimoniano che l’eroismo esiste ed è quello agito tutti i giorni tra la fatica, i dubbi e le delusioni. Non serve cercarlo chissà dove. Occorre imparare a scorgerlo nella quotidianità, nell’ordinarietà, senza travisarlo e senza travestirlo di una straordinarietà tanto episodica quanto effimera.
Questi due personaggi, soprattutto in alcuni passaggi della storia, sembrano fuori posto. Una forzatura che probabilmente pochi di noi, nei panni di scrittori, sceglierebbero. E che anche da lettori, a primo acchito, ci fa sorgere alcune perplessità. Invece, anche in ciò, coerentemente con quanto osservato fin qui, è da rintracciare una necessità che la storia in un certo senso impone: solo così, infatti, i due possono a pieno titolo configurarsi come guide “catartiche” che conducono metaforicamente Tonino dal suo lasciarsi vivere, di notte, al suo essere finalmente vivo, di giorno, alla luce del sole, dopo aver trovato il coraggio di uscire “dallo scuro” e presentarsi “fresco fresco al mondo”.
Nella sua caratteristica dimensione narrativa agile e diretta, Ferrara dà ancora una volta prova di quanto felice, emozionante e ricca sa essere la scrittura quando dà voce al disagio e non si limita ad essere puro esercizio estetico fine a se stesso.
Caterina Brusca – Centro Leggimi Forte